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Mattonelle Inciampare nella  Cultura

Le Vie dei Poeti a Levone 

 

Un Ringraziamento speciale a tutta la giunta comunale , in particolare al sindaco Massimiliano Gagnor e alla vice sindaco Laura Maria Allice che si è spesa in prima persona per portare  a Levone il percorso poetico Le Vie dei Poeti Amilcare Solferini .

 

Il percorso è incentrato su opere legate al processo delle streghe avvenuto nel 1474

 

 

 

levone-stemma

Le Anime e il tempo   

 

Qui a Levone genti lontane
posarono passi pesanti
lasciando orme grevi di dolore.
E indelebili ricordi.
Che un velo inquieto
mosso dall'anima
copre e scopre.
Anime disperate.
Diventate memoria.
Poi il tempo un poco lenisce
ciò che l'animo umano ha ferito.
Rende giusto il pensiero
che corre da secoli
tra i monti e le valli.
Infine è al piano che sosta.
Si ferma.
E accarezza Levone.

 

 

Giovani Ponzetti 

 

 

 

 

 

Geolocalizzazzione Stele a Levone 

 

In attesa di collocazione 

 

 

La Luce Oscura  

 


Le acque dello stanco Malone,
non son più limpide come un tempo ,
una luce oscura le rapisce ,
un'onda buia offusca le menti .
Idee mai viste si fanno spazio
tra i sentimenti spaventati ,

di poveri senza luce nello sguardo .
Anime ormai perse rifiutano altre anime ,
fino a ieri usate come unica ancora di salvezza .

 

Actis Grosso Alessandro 

 

 

 Mattonella numero 149

 

 

 

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Geolocalizzazione  Mattonella

Levone  n° 149

 

In attesa di collocazione 

 

 

Accuse  

 


Nelle mani quiete
che maligne onde accendono
sui mari delle anime
negli indici puntati
da chi troppe sorde
parole semina
lì ardono al gelo le accuse
lì crolla in cenere l' umanità

 

Caterina Castellano

 

 

 Mattonella numero 151

 

 

 

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Geolocalizzazione  Mattonella

Levone  n° 151

 

In attesa di collocazione 

 

 

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Vergogna e Rimorso  

 


E io? E tu? E voi tutti con noi
che di Antonia e Francesca
fummo amici e parenti
nulla avete da dire
a loro discolpa?
E neppur per Bonaveria
cui sovente chiedeste
ausilio e speranza
di culla e di stalla?
Benedetta la Margarota
che lontano fuggì ,
ma per voi che sapete
rimorso e vergogna
resteran sempre qui.

 

 

Carlo Currado 

 

 

 Mattonella numero 155

 

 

 

Geolocalizzazione  Mattonella

Levone  n° 155

 

In attesa di collocazione 

 

 

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Umana Crudeltà 

 

 

Goccia dopo goccia il mio sangue scivolava giù,
diventando il simbolo di un tempo
crudele e selvaggio che,
rimasto ancora impunito,
mi conduceva inesorabilmente
all’altare della morte
in un turbinio di sofferenza e disperazione
dove la speranza,
fragile ed indifesa,
si affievoliva
accompagnata da un ultimo,
tormentato chiarore
di lontani e lieti ricordi.
La mia mente impazziva
ripensando all’odore acre
delle fiamme e delle ceneri che.
elevatesi nell’aere d’autunno,
testimoniavano le atroci barbarie
perpetrate verso le mie compagne,
condannate ad essere bruciate sul rogo
per una colpa di cui
mai
si erano macchiate.
Una lacrima scese lungo il mio viso:
non era una semplice lacrima di dolore,
ma l’ultima mia via d’uscita
da questo inaspettato inferno.
La testa mi girava e i pensieri,
insieme alla paura,
si impossessavano del mio corpo:
perché tale violenza? Tale odio?
Quale peccato avevamo commesso
al fine di giustificare tanto orrore?
Chiusa in me stessa,
ripercorrevo con l’immaginazione
i momenti più belli della mia vita,
mentre con lo sguardo rivolto al cielo
imploravo l’aiuto del Signore
cullata dalla fredda carezza del vento d’ottobre.

Anche l’ultima prima di me
dovette soccombere al volere dell’inquisitore:
ne sentì il grido straziante che,
soffocato dal calore del fuoco,
si dileguò nell’aria come se fosse fumo.

In quell’istante compresi
che il momento era ormai giunto:
i miei passi si alternavano all’oscurità
che presto mi avrebbe avvolto
ed inghiottito per sempre.
Dopo aver assistito impotente al ghigno malefico
dipinto sul volto dei miei carnefici,
ebbi giusto il tempo per terminare
le mie preghiere.
Tutto improvvisamente tacque.
Non sentii più nulla,
tranne lo scoppiettio delle fascine di legna
poste sotto i miei piedi.
Nell’attimo in cui il fuoco
iniziò ad impossessarsi delle mie vesti,
utilizzai le forze che mi rimanevano
per aprire un’ultima volta gli occhi,
accecati dalla luce del tramonto:
quegli occhi che avevano visto l’impossibile e,
immersi in una realtà incolore,
erano stati testimoni di una società corrotta
e priva di qualsiasi limite
in cui il significato autentico della vita
era stato nei secoli dimenticato.
Eppure l’uomo cerca sempre il bene.
Spera. Crede. Ha fede.
Perseguendo una finta perfezione,
confida nel suo intelletto
anche quando l’irrazionalità e la follia
sembrano prendere il sopravvento.
Nel fluire del tempo
accadono sovente degli eventi
che lasciano nella storia delle cicatrici
indelebili,
difficili da rimarginare:
ogni epoca ha il suo peccato,
come un dazio che ci tocca pagare
di continuo
ad un destino troppo ambiguo.

 

Matteo Angelo Lauria

 

 Mattonella numero 154

 

 

 

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Levone  n° 154

 

In attesa di collocazione 

 

 

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inquisitore   

 

 


Inquisitor, sguardo maligno, occhio arcigno.
Atteggiamento sospettoso, animo tenebroso.
Naso aquilino, cervello fino.
Esperto di legge, non fa vuote minacce.
Inquisitor, parole di fuoco,
sempre dosate, benché usate poco.
Inquisitor, di Dio e della legge ministro,
in questo mondo, visto da mostro.

 

 

Marco Actis Piazza

 

 

 Mattonella numero 150

 

 

 

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Levone  n° 150

 

In attesa di collocazione 

 

 

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Le streghe di Levone  

 

 

 
La gente del borgo pavida e indifesa
aveva del venerabile udito la condanna
Il sacro uomo, per averne l’anima in purezza
chiese se il popolo stesso volesse tale punizione
“Rogo sia” ebbe così “Giustizia” con scaltrezza
Le povere donne: Antonia e Francesca
avevano udito mute le tremende accuse
loro, che coglievano erbe per farne sì misture
col solo scopo di curare i mali della gente
non certo col demonio operar tali fatture

No! Era menzogna! Ma nessun del volgo le difese
eran sì maldicenze, invidie e rancori di paese
in quel tempo, tra carestie, miserie e stenti
fu facile provare tali accuse e pensar le donne
dal maligno indotte a sì turpi intenti
Si convinse, per ignoranza, paura e terrore
d’accettar per giusta la “Romana legge”
e la gente rassegnata a tale verdetto.
se fattucchiera sei e come tale riconosciuta
per legge divina non muori nel tuo letto
Non ci fu appello per Antonia e Francesca
per la chiesa era giusta punizione
normale fine in quei tempi oscuri
ove la luce ancor non rischiarava le menti
ove per il misero erano solo tempi duri
Così si vendeva, della quale non si aveva possesso
ora al demonio, ora all’onnipotente Dio
l’anima, e il corpo come accadde a Levone
dove, nelle cronache di quel lontano tempo
tanto si è scritto a torto e nulla a ragione
La triste fine di Antonia e Francesca
fu compiuta con tortura e morte
vinse il potere, il Credo , il sacro zelo
e il volgo se pur umiliato e offeso
continuò orante a volger gli occhi al cielo.

 

Matteo Gallenca

 

 

 Mattonella numero 156

 

 

 

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Levone  n° 156

 

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Il demone   

 

 



Eccomi! Sono io...
Io ho incontrato le vostre anime!
Cercavano disperata salvezza.
In ogni modo!
Cercavano rifugio ovunque.
Le vidi uscire dagli occhi.
Le accolsi nella mia ascia.
E voi rimaneste vuoti!
E io vinsi...

 

Giovanni Ponzetti 

 

 

 Mattonella numero 157

 

 

 

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Levone  n° 157

 

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Francesca e Gabriele   

 

 


Eri Gabriele
ed io avevo sete
della tua veste scura,
di giorno e di notte,
dando adito alle fantasie nascoste.
E quando giunsi dinanzi la sua porta,
tu eri sempre con me.
Ed il nostro amore
Finì con il danzare dentro al fuoco.

 

 

Carmine Antonio Carvelli 

 

 

 Mattonella numero 152

 

 

 

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Levone  n° 152

 

In attesa di collocazione 

 

 

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Margarota Braya   

 

 


Volando tra aromi speziati,
porgevi aiuto a malcapitati.
Tutto ciò ti sembrava cosa buona.
Eppur, irti spuntoni ti trafissero
e la vita iniziò a tremare.
L’ignoranza ti avvolse
con occhi di ghiaccio.
La cattiveria si realizzò
coprendoti di cenere.
Un boia cavalcò i tuoi sonni
e la morte si presentò.
Non potevi perdere te stessa
e ammettere un nulla, mai e poi mai.
All’improvviso, cambiasti le carte
e, complice una nuvola, evaporasti.
Il tuo libero arbitrio si affermò
e bugie non ne raccontasti.

 

 

Laura Roldi 

 

 

 Mattonella numero 153

 

 

 

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Levone  n° 153

 

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55 capi d'accusa

 


“E ciò esser vero, notorio e manifesto, come dimostrano la fama e la voce pubblica”

 

 

Francesco Chiabaudi

 

Frate Domenicano

Santa Inquisizione

1474

 

 

 Mattonella numero 158

 

 

 

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Levone  n° 158

 

In attesa di collocazione 

 

 

 

 

 

ITALIA, CANAVESE, LEVONE, UNA STORIA VERA.

 


E' il 1460, a Levone la vita sembra trascorrere senza particolari scosse o eventi.
Non c'è nulla che possa far presagire quello che 14 anni più tardi sconvolgerà il piccolo borgo e il
Canavese intero.
Tutto ha inizio in sordina, in un soffocante silenzio di povertà, disperazione, rancori e invidie, in
un mondo di contadini che in pratica, prima di essere persone, sono servi completamente
assoggettati al volere del signore di turno.

Sono tempi in cui i giorni vengono scanditi da niente altro che non sia la luce e il tepore del sole:
la sera è dominata dalle ombre, di notte è la luna ad illuminare se pur in modo freddo e algido
ma, quando neanche la luna non c'è, tutto viene consegnato al buio che diventa il padrone
assoluto.
Sono tempi in cui la vita, molto più che ai giorni nostri, ha poche alternative alla fortuna di avere
una buona salute: la medicina intesa come tale è ben di là a venire, la mortalità infantile è
elevatissima e le prospettive di vita per gli adulti non sono di certo quelle dei giorni nostri.
In questo contesto molte volte, diciamo pure troppe, succede che la salute venga fortemente
messa a repentaglio da malattie che nella maggior parte dei casi portano a un finale scontato; ne
consegue che qualsiasi persona sembri in grado di poter aiutare e dare una speranza di
guarigione è visto in una dimensione magica, ed è a loro che la disperazione del popolo si rivolge
e, a volte, non solo il popolino ma anche i cosiddetti signori.
Ogni tanto però succede che anche il signorotto del luogo abbia per moglie una strega...
La storia ci insegna che da millenni vi sono individui con capacità taumaturgiche, vere o
presunte, a volte efficaci a volte meno, ed è per questo che non bisogna mai dimenticare che,
fino a non molti anni fa, la diagnostica di una malattia si limitava all'esperienza, a una
conoscenza tramandata quasi esclusivamente in modo orale: va da sé che l'analfabetismo fosse
la norma per la quasi totalità dei lavoratori dei campi.
Vi era anche un qualcosa di mistico che emanava da questi personaggi... nel bene e nel male...
Le richieste di aiuto toccavano affetti famigliari, soprattutto bimbi malati, ma anche animali,
mucche tori cavalli, vitali per la sopravvivenza.
Chi aveva bisogno di queste persone era di solito costretto in un angolo e disperatamente
obbligato a sperare nell'ignoto, se non addirittura nel mondo del soprannaturale, o comunque in
qualcosa che andava ben oltre il conosciuto, il vissuto quotidiano.
A Levone pare ci fosse qualche persona con poteri occulti o presunti tali: di sicuro quattro donne
sono salite agli onori della cronaca e due, altrettanto sicuramente, sono salite anche al patibolo,
nella fattispecie al rogo...
Quando si mosse, l'Inquisizione, come d'abitudine, era formata da uomini ovviamente
venerabili, reverendissimi oltreché professori... tutti santi uomini insomma... sotto l'egida di
una Chiesa Cattolica sempre più distante dagli insegnamenti di Cristo.
Dal 1460 al 1474: sono 14anni in cui a Levone, a detta di qualcuno o più di qualcuno ma di
preciso chi non si sa, le quattro donne compiono atti inenarrabili, feroci e disumani, sotto
l'occhio attento del Demonio che fa loro da guida e da maestro, e ognuna di esse ha un diavolo
personale: quello di Antonia viene chiamato Pietro, Francesca ha Gabriele, Bonaveria si
accompagna con Giovanni e di Margarota non si conosce il demone perché costei riesce a fuggire
facendo perdere le tracce; durante il processo si scopre (!) tra le altre cose che tutte avessero
rapporti sessuali con i rispettivi diavoli.
Il quale Diavolo ha la capacità di palesarsi sotto insospettabili spoglie, a volte anche solo un
freddo alito di vento.
Tornando a Levone sappiamo che, dopo ben 14 anni, questi misfatti giungono alle orecchie di
un'autorità, nella fattispecie il vescovo di Torino, e di conseguenza si muovono le sante coscienze
inquisitorie che, ovviamente per il bene del paese, decidono sia giunta l'ora di far intervenire chi
di dovere.
Un sospetto su chi potrebbe avere fatto pervenire a Torino la richiesta di un Inquisitore c'è: il
pievano di Rivara, frate Tommaso Balardi neofita di studi in materia e, pare, ansioso di accertare
se la teoria coincida con la pratica.
Succede allora che nel mese di agosto del 1474 da Torino, su disposizione del reverendissimo
Padre in Cristo Vescovo di Torino, e del venerabile uomo Michele de Valenti Priore dell'ordine
di San Domenico, si palesa il venerabile professor di canoni in ambe le leggi Francesco
Chiabaudi, Commissario e delegato speciale dei già sopracitati.
Ambe le leggi: religiose e civili, un sapiente, senza alcun dubbio, oltreché venerabile.
In parole povere ecco servito L'Inquisitore, un frate domenicano accompagnato dal suo
segretario e praticante Lorenzo Butini, frate domenicano anche lui, che molto bravo diventerà in
materia di inquisizione, segno che il maestro è stato bravo assai...

Vengono stilati 55 capi di accusa dai quali si apprende che il mondo delle streghe di Levone
spazia da uccisioni di bimbi, dissotterramento di cadaveri (sempre di bimbi) usati per fare
unguenti, e ancora: uccisioni di animali, soprattutto buoi e mucche che vengono scorticati e
mangiati salvo poi, grazie a formule magiche, riportarti in vita...
Si compiono furti e stregonerie anche in paesi distanti (Caselle), e poi ecco che le streghe con, a
volte, gli stregoni, organizzano sabba infernali in cui si balla freneticamente, si calpesta e si
sputa sulla croce e chissà cosa altro ancora; questi sabba sono frequentati da centinaia e
centinaia di persone, a volte 700 e anche più (come qualcuno abbia potuto contarle è un bel
mistero) partecipati, come detto, anche da stregoni con ovviamente tutti i Demoni del caso... si
apprende anche che le streghe si alzino dal suolo ma non solo! Codeste volano! Addirittura!
Ma non solo: in un battibaleno arrivano a Ivrea, Pavia e financo a Venezia...
E tutto questo come recita la frase conclusiva di ogni capo di accusa:
“E ciò esser vero, notorio e manifesto, come dimostrano la fama e la voce pubblica”.
Voce pubblica che, almeno nell'ultimo caso citato, si deve trasformare anch'essa in qualcosa di...
volatile... per poter seguire le streghe in volo fino a Venezia, tornare e riferire tale accadimento!
Va da sé che interpretando a modo la frase viene dato per scontato a priori che il capo d'accusa
descrive fatti veri e noti a tutti.
Da qui la tremenda inutilità del processo; una farsa di una crudeltà difficilmente inimmaginabile
in cui le malcapitate, torturate, seviziate, rese poco più di un mucchio di carne atrocemente
dolorante, vengono infine condannate a essere bruciate vive.
Peraltro va ricordato che L'Inquisitore non si fa mancare nulla.
Ci aiuta un ponderoso e ponderato Directorium Inquisitorum, un vero e proprio Vademecum
per gli Inquisitori, scritto nel 1376 da Fra Nicolau Eymerich, un frate domenicano nato a
Gerona, Spagna, nel 1320 e ivi deceduto nel 1399 dopo aver vagato per l'Europa di quei tempi.
Costui, nel capitolo PRIMA DEL PROCESSO - AUTORITA' DELL'INQUISITORE dice:
innanzitutto (l'inquisitore) deve presentarsi al re o al signore del regno o del paese nel quale la
Sede Apostolica lo invia in qualità di inquisitore e deve porgergli le sue credenziali. Tosto
l'inquisitore supplica ed esorta il principe a considerarlo come suo servitore, e prestargli – se
del caso – consiglio aiuto soccorso. L'inquisitore ricorda al principe o al signore che, in virtù
delle disposizioni canoniche, è tenuto a comportarsi così se tiene a essere considerato fedele ed
evitare le numerose sanzioni giuridiche previste nei testi pontifici... così ordiniamo a ognuno di
voi sotto pena dei nostri rigori di dare manforte all'inquisitore... di arrestare o far arrestare
tutti coloro che l'inquisitore vi indicherà... (cfr. Manuale dell' Inquisitore, A.D. 1376, a cura di
Rino Camilleri, PIEMME1998).
Non c'è molto da stare allegri.
Torniamo a noi: al termine del processo la spaventosa inumana ipocrisia spinge l'Inquisitore a
chiedere alla improvvisata giuria, in questo caso di Levone, di non mettere a morte le donne, pur
avendole giudicate colpevoli.

Anche senza aver letto il Directorium Inquisitorum va da sé questa è, purtroppo per le inquisite,
una richiesta assolutamente pleonastica: nessuno al mondo, per nessuna ragione, si
permetterebbe di contestare il giudizio dell'Inquisitore... come a dire il danno e la beffa, una
beffa mortale.
Che va a discapito, l'inumana ipocrisia, di Antonia de Alberto moglie di Antonio de Alberto, un
signore di Levone, il cui Demone Pietro compare davanti alla prigione il 23 settembre dopo
esaminazione della medesima (si fa prima a dire tortura), rimproverandola aspramente di avere
confessato e le ordina di ritrattare tutto altrimenti non potrà aiutarla.
È lo stesso diavolo che fa imbizzarrire due buoi di tal Michele Bogieti, da lui portati nel prato di
Antonia, magari a pascolare, e che non si quietano fino a che Antonia non interviene e con un
tocco di mano li tranquillizza. Ovviamente Bogieti ha confermato sia che è stato il demonio a
imbizzarrire i buoi e sia che poi Antonia li ha tranquillizzati. Ed è stato creduto. C'è poco da
aggiungere. Sempre Antonia con altre complici si introduce nelle case di molti levonesi per
stregare bimbi in modo da farli morire. La stessa Antonia che ha tranquillizzato i buoi, ecco poi

rendersi colpevole per contro di averne stregati a morte molti altri, di concerto con le sue
complici. Così come molti esseri umani, soprattutto bimbi, lei ha stregato fino alla morte...
Davanti all'inquisitore compare anche Francesca Viglone, moglie di Giacomo Viglone; lei ha per
guida demoniaca Gabriele il quale si palesa a guisa di montone nero, poi si trasforma in un bel
fanciullo così da poter fare l'amore prima di andare a ballare balli scostumati. Anche Francesca
riceve la visita in carcere del demonio che la avverte di non confessare niente perché solamente
così potrà liberarla. Francesca si accompagna quasi sempre con Antonia: sembra agissero
sovente di concerto, sebbene tra le due l'impressione è che Antonia sia quella che comanda.
Francesca è rea, con Antonia ed altre complici, di avere stregato a morte una bimba, mentre la
balia si era allontanata a raccoglier rape: non è la sola morte di cui è accusata, anzi.
Non si contano poi le morti di mucche e buoi, uno sterminio.
Non mancano i dissotterramenti di cadaveri di bambini, per ricavarne pozioni mortali.
La terza presunta strega è Bonaveria Viglone moglie di Antonio Viglone; il suo demone è
Giovanni con il quale ovviamente intrattiene innumeri rapporti sessuali. Durante il processo
viene nominata molto meno di Antonia e Francesca. Tra le accuse vi è quella di essersi
introdotta con Francesca e altre donne nella casa del podestà di Rivara, Giovanni Francesco
Valperga Signore di Levone, per stregare uno dei suoi figli e farlo morire. Anche lei partecipa con
molte altre a stregare e far morire mucche e buoi. Salvo poi risuscitarli. Le cronache, dopo la
data del 25 gennaio, non parlano più di Bonaveria. Terminato il processo, le condanne a morte
vengono eseguite il 12 novembre e Antonia e Francesca sono messe al rogo ma non Bonaveria
della quale non si sa niente fino alla notizia che, al 25 gennaio del 1475, era ancora costretta a...
deporre (!), poi come detto, il silenzio cala su questa donna.
Infine c'è Margarota Braya moglie del fu Antonio Braya. Per Margarota non è stato possibile
conoscere il nome del suo demone guida perché durante il processo la donna riesce a fuggire.
Anche lei si macchia di crimini perpetrati in compagnia, uno tra tanti: con Antonia e altre
complici va nella casa del Bartolomeo Pasquale della famiglia del podestà e ivi, senza por tempo
in mezzo e con la usuale pervicacia gli stregano il figlio che dopo pochi giorni muore. Sembra
però che Margarota non abbia mai confessato e che, soprattutto, sul suo corpo non ci fosse
traccia di torture e, contrariamente alle altre, mantenesse una floridezza invidiabile... poi questa
donna trova il modo di scappare, forse con la connivenza di qualche signore non insensibile alla
florida Margarota... fatto sta che di lei non si saprà più nulla e chissà, potrebbe anche essere
volata a Venezia. Magari non da sola.
Alla conclusione di questo processo due donne vengono arse vive, questa è l'unica verità
tramandata ai posteri: è il risultato di paura, invidia, malignità, ignoranza.

Il timore del popolo, che sovente è un vero e proprio terrore nei confronti dei signorotti locali, fa
il paio con la paura di contraddire e di andare contro a quello che sta accadendo, un qualcosa di
infinitamente più grande di loro: mai hanno visto e vissuto da vicino il potere temporale che si
muove di concerto con il potere della Chiesa. Per la prima volta vedono uomini, frati, che
arrivano da lontano, da posti a malapena sentiti nominare. Sono uomini che portano con sé
potere e arroganza, in misura ancora maggiore rispetto al normale quotidiano cui sono abituati i
contadini e i piccoli artigiani del posto.
Ne scopriranno presto anche il bieco cinismo di cui daranno prova.
Va detto che la paura non esclude né parenti né amici: il timore di contraddire, o anche solo di
esternare qualche dubbio su quello che si sta profilando, sembra mettere silenziosamente tutti
d'accordo. Pare che nessuna voce si sia levata a favore delle donne che stavano inesorabilmente
andando contro un destino già scritto.
Ancora: vi è un manifesto sentimento di malignità nei confronti di queste donne, dettato da una
invidia latente, probabilmente basata sulla constatazione che loro abbiano qualcosa di più o
almeno qualcosa di diverso rispetto a quello che si considera la normalità, e allora ecco scattare
l'invidia che, se non è tenuta a freno, può diventare uno dei massimi demoni del male.

E poi la grande, oggettiva ignoranza soprattutto nei confronti del bene più prezioso dell'uomo, la
salute. Non c'è molto da dire, o forse ci sarebbe moltissimo da disquisire, su come viene vissuto
il mondo della salute, della malattia che, ai tempi, porta con sé nessuna certezza una volta
contratto il male; la paura di non poterlo in qualche modo superare è tremendamente reale, pur
sperando ovviamente nella guarigione. Va considerato anche che il più delle volte i problemi
cominciavano in tenera età, attenzione... quando si raggiungeva, la tenera età. Detto questo non
è difficile tornare al pensiero della stregoneria o dell'improvvisato guaritore che, magari dopo
qualche insperato successo, insperato in prima persona da lui, viene investito di un'aura di
capacità senza minimamente pensare se sia di natura benigna o maligna perché quando il male
viene superato difficilmente ci si mette a sindacare su questo o quest'altro.
Diverso è il comportamento qualora comincino gli insuccessi, traduci morte, e allora tutto
cambia e si comincia a parlare di stregoneria e di malèfici contatti con chissà cosa per ottenere le
guarigioni; quindi prende piede il sovrannaturale, l'incognito nella sua forma peggiore... tutto si
traduce con demonio, diavolo, strega o stregoni, con unioni sicuramente certe tra queste
perverse entità.
E qui non è solo il popolino timoroso di tutto, no, qui anche i Signori diventano preda
dell'ignoranza, e la disperazione, quella che ha portato prima a chiedere aiuto, si trasforma in
rancore e rabbia che spesso sfociano in vendetta.
Una spirale alla quale è difficile sottrarsi.
E in questa spirale neanche la Chiesa con tutti i suoi ministri in Dio, riesce (vuole?) a trovare e a
far uscire una parola buona, anzi.
Lo spaventoso è come sia stato possibile, riguardo a questo argomento, che l'umana intelligenza
dei tempi abbia saputo partorire solo rimedi (sic) in cui è oggettivamente difficile trovare traccia
di umanità.
Valendosi peraltro di leggi guida inventate per la bisogna, una sorta di assiomi assai
accomodanti...
Il diavolo ha una identità plurima e assume sembianze ora animalesche ma soprattutto umane.
Il diavolo induce le anime conquistate a qualsiasi nefandezza.
Il diavolo per queste ragioni va perseguito e una volta riconosciuto nessuna pietà è ammessa.
Il diavolo si ripresenterà ma la nostra rettitudine sarà sempre baluardo ai suoi malefici.

Naturalmente il diavolo non è presente nella corruzione di una Chiesa sempre più preda di uno
smodato attaccamento ai beni terreni.
Naturalmente il diavolo non è presente dove e quando i suoi ministri si identificano in una
mondanità che niente ha da spartire con gli insegnamenti di Cristo.
Naturalmente il diavolo non è presente né nella Simonia, né nella vendita delle indulgenze.
Il diavolo...
Però quando Martin Lutero ebbe qualcosa da ridire (1517), ecco che la Chiesa e suoi ministri
insorsero, e il Papa pensò bene di scomunicarlo...
Noi ora viviamo un mondo assuefatto a cose apparentemente lontanissime da quelle contenute
in questo pezzo di storia, tanto da farci sentire spettatori di un tempo distante secoli e che,
secondo noi, non potrà tornare.
Può darsi... ma i corsi e ricorsi della storia sono lì da leggere.
Facciamo attenzione a non diventare diavoli di noi stessi.

 

Giovanni Ponzetti